NONA ESCURSIONE GEM 2012 –PIZZO CAMINO - OROBIE - m 2.491


Il Principe delle Orobie

Se la Presolana è considerata da tutti come la “Regina delle Orobie” penso che a buon diritto il Pizzo Camino, insieme al non lontano Cimone delle Bagozza, possa meritarsi senza dubbio il titolo di “Principe delle Orobie” per la sua elegante struttura e sequela di cime e di acrocori che lo rendono elegante, ma al tempo stesso simile ad uno sfarzoso castello che ben difende il suo tesoro: la vetta posta a 2491 metri di quota.

E chi conosce il Pizzo Camino, ben sa quanto sia faticoso raggiungerne la cima; dapprima lungo i ripidi prati che salgono verso il Passo di Cornabusa dominato dalla caratteristica conformazione rocciosa che ne attribuisce il nome e poi per la risalita del lungo vallone caratterizzato dal ripidissimo ghiaione che mette a dura prova fiato e muscoli.

Nonostante questo, la montagna che domina la conca di Schilpario affascina e decidiamo pertanto di recuperare l'uscita in calendario che qualche settimana prima era “saltata” per via del cattivo tempo.

Alle sei del mattino, siamo in dodici ad iniziare il viaggio verso Schilpario che raggiungiamo dopo circa un'ora e mezza di viaggio: viaggio deliziato anche dalla visione fugace di uno scoiattolo lungo i tornati del Passo della Presolana.

Poco prima delle otto, il gruppo di escursionisti si mette in marcia, corroborato anche da una fresca brezza che incoraggia la partenza.

Brezza che in breve però, non cogliamo più nella sua frescura, perchè subito il sentiero, che segue il tracciato della pista che scende da Malga d'Epolo, si fa ripido sino all'eccessiva rampa di biutme che sale dritta come una lancia in grado di fiaccare la resistenza degli arditi.

Superata la rampa, un visione bucolica fa dimenticare rapidamente la fatica appena sopportata: in un bellissimo prato pieno di sfavillanti botton d'oro (e di ortiche), una mandria di beate mucche se la gode nella frescura mattutina dando un senso di tranquillità, di pace e di serenità.

Recuperate velocemente le forze, ripartiamo e subito un altro ripido si presenta di fronte a noi, ma ormai i muscoli sono caldi, il fiato va in sintonia con il nostro deambulare e tranquillamente superiamo questo scivolo e il successivo che ci porta finalmente al Passo di Cornabusa.

Qui è d'obbligo una sosta più “sostanziosa”: anzitutto il panorama che si apre attorno a noi comincia ad essere interessante e merita di essere contemplato, in secondo luogo, superato un breve traverso ci troveremo di fronte al famoso ghiaione, dove ad un passo avanti seguono due passi indietro.

Naturalmente, vista la friabilità del ghiaione, la sua pendenza e il rischio di sassi in caduta libera, affrontiamo la salita lungo la destra orografica prestando sempre moltissima attenzione alla mobilità del terreno che calpestiamo: siamo in dodici e la concentrazione su come e dove mettere i piedi deve essere sempre massima.

Il passo misurato, ma continuo ci porta pian piano sino alla base della bastionata rocciosa che ci separa dalla vetta.

Siamo oltre i 2000 metri di quota, e complice la parete che ci sovrasta, non riusciamo a sentire alcuna frescura che possa in qualche modo aiutarci a dissipare il calore accumulato lungo la salita.

Un breve traverso alla base della parete ci porta verso l'ultima fatica prima della conquista della cima: un canalone dall'aspetto arcigno e in parte ancora innevato ci separa dalla Forcella del Camino, dalla quale in pochi minuti potremo raggiungere la cima.

Il canalone non è difficile da percorrere, ma se prima sul ghiaione il pericolo di caduta sassi era ben evidente, qui dentro questa possibilità sembra diventare una certezza inevitabile a cominciare dalla strana lama di roccia che sembra messa a sentinella dell'imbocco del canale.

In certi tratti, sembra che uno sguardo di troppo al sasso che ti sovrasta, sia in grado di farlo vibrare, tremare e infine cadere: massima attenzione e concentrazione e tutti passiamo indenni da questo tratto insidioso.

Devo riconoscere con una certa ammirazione per tutti i compagni d'escursione, che siamo stati veramente tutti bravi: non un sasso ha lasciato la sua posizione originale al nostro passaggio nel canale, sia in fase di salita che in fase di discesa.

La Forcella è finalmente raggiunta e da li, in pochi minuti e opportunamente coccolati da una sottile frescura, raggiungere i 2491 metri della cima è uno scherzo.

Siamo tutti attorno alla Croce di vetta, il panorama è superbo e come spesso accade in montagna, non vorresti più scendere da quel paradiso.

A questo punto resta solo il rituale delle foto di vetta che la tecnologia del digitale ha reso ormai un surrogato del servizio fotografico matrimoniale: è sempre divertente vedere qualcuno di noi trasformato in albero di Natale dal quale pendono macchine fotografiche di vario genere.

Una parentesi divertente prima di riprendere la discesa che ci riporterà nell'ordinarietà di tutti i giorni... sino alla prossima salita di un altro paradiso in terra.

 

Maurizio Cavenati

Alla Prossima

 

 

 

 

 

 

 



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